Metal Shock Gennaio 1989

I NEGAZIONE SONO UNO TRA I POCHISSIMI GRUPPI CHE SONO RIUSCITI AD USCIRE DAL RISTRETTO AMBIENTE DELL'HARDCORE PUNK PER RAGGIUNGERE UNA GRANDE NOTORIETÀ' ANCHE NEL DIFFICILE MERCATO ESTERO. LI ABBIAMO INCONTRATI PER UNA INTERESSANTE CHIACCHIERATA.
di Heintz Zaccagnini

Questa storia potrebbe cominciare così: c'erano una volta le autogestioni punk che rifiutavano il sistema e per difendere i propri valori si isolavano, si sforzavano di non avere contatti con tutto ciò che non corrispondeva alle loro idee. E tra queste: la musica deve essere direttamenteaccessibile al proprio pubblico, senza barriere, non deve essere oggetto di speculazione, etc; naturalmente questo dal punto di vista della gestione della musica (la componente 'politica' non è da trattare in questa sede). Il tempo passò e all'interno di questi ambienti crebbero dei gruppi di valore. Ma con il tempo le cose cambiano e le vecchie idee, se non si evolvono, perdono di smalto. I Negazione hanno vissuto in prima persona questi cambiamenti. Il valore dei loro due LP's 'Lo spirito continua' e 'Little Dreamer' non si discute, e spero bene che molti di voi li abbiano perlomeno ascoltati. Di questo ed altro parliamo con Marco Mathieu (basso) e Guido "Zazzo" Sassola (voce).

E' opinione diffusa che la scena hardcore italica sia implosa...

Marco: "'Scena per me è un termine associato a quanto è venuto fuori dal punk, e la cosa ha avuto il suo massimo sviluppo nell'84-85 (massimo numero di locali autogestiti); dopo, si sono sviluppate situazioni problematiche per quanto riguarda i locali, e c'è stata un'evoluzione dei gruppi che li ha messi in contatto con gente nuova e diversa. 'Scena' definisce un'area ristretta di persone e non tiene conto dei fruitori di questa musica che non vi sono direttamente coinvolti".

Rivolgersi alla scena è dunque limitativo ?

"Sì. Siamo arrivati a questa convinzione dopo quello che abbiamo vissuto in questi anni. E l'autoghettizzazione non paga, significa essere insicuri, aver paura di quello che c'è fuori".

Guido: "La chiusura era una forma di difesa qualche anno fa, quando cera qualcosa da difendere. Con l'attuale povertà di idee è una posizione sterile e basta".

Marco: "Noi siamo stati parte integrante di qualcosa, e adesso siamo parte integrante di noi stessi".

Vi sentite isolati?

"Sì e ne siamo al tempo stesso contenti e sbigottiti".

Comunque, avete eluso la prima domanda..

Marco: "La situazione dell'underground? E' un bel casino rispondere..."

OK, OK. Come mai incidete per la We Bite?

Marco: "All'estero, specie nel Nord Europa, è più facile operare nel campo musicale underground. 'Espandendoci all'estero abbiamo conosciuto gente che ci era molto affine e che ci ha portato prima in Olanda alla De Konkurrent, poi alla We Bite".

Qual'è la responsabilità dei gruppi nell'atteggiamento del business verso di loro?

Marco: "E' molto grossa. I gruppi cercano di vendersi. Il business esiste, di gruppi ce ne sono diversi. Spesso un gruppo (magari con poco da dire) decide di sfondare, di iniziare una carriera di successo, termini che purtroppo leggo infinite volte su questo giornale, ma in realtà privi di significato. Un gruppo, quando si avvicina a fattori organizzativi, deve essere in grado di gestirsi. Se non lo è, è inutile che venga a lamentarsi di essere stato inculato o sfruttato male. Col business bisogna fare i conti: o te ne distacchi creando qualcosa di autonomo, ma con limiti di estensione e questo era il discorso delle autogestioni - oppure ti infili nelle maglie più larghe, quelle del circuito underground, e cerchi di agire cercando di mantenere il controllo sul tuo prodotto, e passo passo cerchi di migliorare il rapporto con la tua etichetta.

Guido: " E' importante però, che questo venga fatto per gradi".

Non si sfonda di botto, dunque. E non si cambiano di botto le leggi del business.

Marco: "E poi noi siamo in Italia. Puoi riuscirci come ha fatto Jovanotti, che comunque preferisco a tutti quei gruppi che darebbero le mutande pur di suonare ad un grande concerto.

I vostri testi sono insolitamente curati rispetto alla media del genere in cui volenti o nolenti venite risucchiati.

Guido: "Appunto. Visto che veniamo risucchiati all'interno di un certo tipo di musica, curiamo gli elementi che ci distinguono dagli altri".

Questo "giorno del sole" di cui parlate è per voi una meta realizzabile o una pura speranza che vi fa andare avanti?

Marco: "Un pò entrambe le cose; è uno stato mentale di ricerca se vuoi. Sai che è impossibile far sì che domani cambi tutto, ma solo credendoci puoi vivere decentemente e realizzare qualcosa di buono".

Guido: "Secondo me è qualcosa che non sai dove sia, ma il fatto che ci sia ti indica la direzione da seguire, ti fa progredire".

Marco: "E' fondamentale, però, perché altrimenti non hai altra scelta se non quella di 'sbattere la testa contro il muro' davvero, perché se ti guardi attorno c'è da morire. Ma ora, perché non ci domandi quali sono i nostri gruppi preferiti?

E va bene. Quali sono i vostri gruppi preferiti?

Marco: "Madonna, Cyndi Lauper e Jovanotti".

Ti piace Cyndi Lauper?

"Moltissimo, scrivilo".

Guido: "E Sabrina Salerno..."

Ma non vi piace la Steve Rogers Band.

Guido: 'No".

Marco: 'E quello sarebbe il rock italiano? Allora preferisco davvero Jovanotti, almeno se ne sbatte di tutto, fa i soldi, non suona, anzi, deturpa la roba campionata da altri".

Concludiamo con il vostro "Little Dreamer": è così importante tener vivo il nostro piccolo sognatore?

Marco: "E una necessità, è importantissimo, è non voler morire a vent'anni, né a ventiquattro, e nemmeno a trenta".